"Se lo zoning era stato il modo per pianificare la città industriale attraverso la divisione in zone tra loro omogenee e distinte che simulava il concetto tayloristico di produzione industriale, la plurifunzionalità e l'integrazione è diventata la necessità della città dell'informazione e delle sue nuove aree anti-zoning" (A. Saggio - Nuove Sostanze)
"Lo zoning è un concetto antico fracico", ho detto invece io, parole testuali in sede d'esame, no wonder i miei esami orali si rivelino sempre dei disastri epocali. Per poi partire in quarta, qualche minuto dopo, delirando riguardo ad una nuova storia d'amore tra spazi aperti e costruito, tra un verde che "non serve più" e un edificato "che deve essere liberato", il tutto in un flusso senza senso che partiva dalle borghesi periferie extra-romane fino alle stazioni di servizio lungo le autostrade americane. Inutile dirlo, il mio discorso senza capo ne' coda non è stato inteso, e il tutto si è esaurito ripetendo a memoria un paio di cifre da "standard", che poi, diciamocelo, pure tutto 'sto attaccamento agli standard è n'attimo antico.
SISTEMI
Ora, preso che con lo sguardo alla città come intrecciarsi di "sistemi" il concetto di zoning sia (parzialmente) superato, o almeno identificato come inadatto, toccherà anzitutto comprendere la natura di 'ste nuove identità, e capire che c'hanno da disse. Altrimenti chiamiamole pure come vogliamo, ma rimangono un parchetto recintato, un filare di alberi a coprire un paio di edifici "bruttini", un marciapiede che se sei fortunato da A arriva a B, ma senza saperne il perché.
La chiave da trovare non nella funzione, nel ruolo o la posizione, ma solo nel momento dell'interazione. E qui rientra in gioco il passaggio da "spazio-organo" a "spazio-sistema", e si risolve in parte il mio dilemma delle "nuove aree liberate". Perché la mia domanda, che non trovava risposta, del "e queste mo a che servono?", era la domanda sbagliata.
"Spazio come sistema vuol dire pensare in un insieme strettamente cospirante la relazione dei corpi e tra i corpi in cui si frammentano gli edifici. Non perché questo "piace", ma per permettere allo spazio urbano di essere vivamente partecipe di un rapporto mutevole e continuamente allacciato tra architettura dell'edificio e ambiente".
La città già consolidata quindi non va ad essere completata, e nemmeno forse reinventata, ma saranno "interventi cardine" a portare con se' i "sistemi" ad un nuovo "sistema", in un fluido rigenerarsi.
IL MALE ASSOLUTO
Se lo "spazio sistema" è uno spazio fluido, liberato e liberante, uno spazio multifunzionale e interattivo in cui non si riconoscono lotti di appartenenza, il nemico più ovvio si chiama "fences", quello più subdolo è il sistema della "mobilità", che, come oggi concepito, se vuol essere autonomo è comunque ostacolo, se vuol cooperare risulta inadatto. Strade che un tempo univano e oggi separano. Un po' come quel ponte della musica che una volta raggiunta la sponda, l'unica speranza è quella di non essere tranciato da una mamma in un SUV.
ZONING CULTURALE
Mi viene in mente un'immagine che girava su Facebook qualche tempo fa, un pezzo di carta probabilmente scritto durante l'ora di buco. I principali 'punti' ed aree di Roma erano distribuiti a seconda della "crew", del look di appartenenza, in una sorta di "zonizzazione culturale". E decido che se è su Facebook e se i puntini sulle i sono cuoricini, allora é più che attuale. Così in qualche modo collego il tutto all'area dei musei a Vienna, "'na cifra hipster", e mi chiedo se non possa davvero allora forse esistere uno "zoning culturale", visto non in maniera separativa, ma più come "targettizazione", in una narrazione a rimbalzi, in cui l'architettura si fa marketing come titolare di un messaggio e diviene il messaggio stesso. A renderlo architettura e non una pagina pubblicitaria la capacità di evolversi e riflettere il ritmo dinamico di un più grande "target" di cui racconta.